Idee popolari sulla reincarnazione
Si deve evitare un
diffuso equivoco riguardante la reincarnazione. L’opinione popolare è che Titus
Balbus sia rinato come John Smith, una
persona cioè con la medesima personalità e carattere, le stesse cognizione che aveva
nella vita precedente, con l’unica differenza che indossa ora cappotto e
pantaloni invece che una toga, e parla inglese dialettale e non latino
popolare. Non è così. Quale sarebbe l’utilità terrestre nel ripetere la stessa
identica personalità o carattere un milione di volte dagli inizi del tempo fino
alla fine? L’anima nasce per far esperienze, crescere, evolvere fino a che
possa portare il Divino nella Materia. E’ l’essere centrale che d’incarna, non
la personalità esteriore – la personalità è semplicemente una forma che esso
crea per le rappresentazioni della propria esperienza in una determinata vita.
In un’altra nascita l’essere centrale creerà per sé una vita e una carriera
diverse. Supponiamo che Virgilio sia rinato; potrebbe riprendere la poesia in
una o due altre vite, ma certamente non scriverà un’epica, forse piuttosto
liriche ma eleganti e belle come avrebbe voluto scriverne a Roma senza
riuscirci. In un’altra nascita probabilmente non sarà affatto poeta, ma un
filosofo o uno yogi che cerca di conseguire e di esprimere la più alta verità –
perché anche questa fu una tendenza irrealizzata della sua coscienza in quella
vita. Forse, in precedenza era stato un guerriero o un sovrano che avevano
compiuto festa come Enea o Augusto prima che lui stesso li cantasse. E così via
– in una direzione o nell’altra l’essere centrale sviluppa un nuovo carattere,
nuova personalità, cresce, evolve e passa attraverso tutti i tipi d’esperienza
terrestre. Nella misura in cui l’essere che evolve sviluppa sempre più e
diventa più ricco e complesso, esso accumula le proprie responsabilità.
Talvolta esse restano dietro gli elementi attivi, immettendovi qui e là un
certo colore, dei tratti, o delle capacità – altre volte emergono invece in
primo piano e vi è una personalità molteplice, un carattere polivalente, una
capacità multiforme, o talvolta ciò che appare come una capacità universale. Ma
se una personalità precedente o una precedente capacità emergono pienamente,
non è per ripetere ciò che già è stato fatto, ma per modellare la stessa
capacità in nuovi modelli e forme e forgiarla in una nuova armonia dell’essere
che non sarà una riproduzione di ciò che era stato prima. Non ci si può quindi
aspettare che sia ciò che il guerriero o il poeta erano stati. Qualcosa delle
caratteristiche esteriori può riapparire, ma molto cambiato e nuovamente
modellato in una diversa combinazione. E’ in una nuova direzione che le energie
saranno guidate, per fare ciò che non era stato fatto prima. C’è poi un’altra cosa. Non è la personalità,
il carattere che siano di primaria importanza nella rinascita, ma l’essere
psichico che sta dietro l’evoluzione di quale natura ed evolve con essa. Lo
psichico, quando lascia il corpo, si libera poi anche della mente e del vitale
lungo il cammino al suo luogo di riposo, e porta con sé il nocciolo delle sue
esperienze, - non gli eventi fisici, non i movimenti vitali, non le costruzioni
mentali, non delle capacità o delle caratteristiche, ma qualcosa di essenziale
che ha raccolto da essi, ciò che si potrebbe chiamare l’elemento divino per il
cui scopo tutto il resto esisteva. E’ per questo che di solito non vi è alcuna
memoria degli avvenimenti e delle circostanze esteriori delle vite passate –
per tale tipo di memoria deve esserci un forte sviluppo per un’interrotta
continuità della mente, de vitale, e persino del fisico sottile; pur rimanendo
infatti tutto questo in una specie di memoria in uno stato germinale,
normalmente non emerge. Ciò che fu l’elemento divino nella magnanimità del
guerriero e che si era espresso nella sua lealtà, nobiltà o nel suo grande
coraggio, ciò che fu l’elemento divino dietro la mentalità armoniosa e la
generosa vitalità del poeta e che in esse si era espresso, tutto questo riamane
e può trovare una nuova espressione in una nuova armonia di carattere, oppure,
se la vita si è ora volta al Divino, può essere assunto come un assieme di
capacità per la realizzazione o per il lavoro che deve essere fatto per il
Divino.
Prendiamo in
considerazione, ad esempio, una scintilla divina che per attrazione, o affinità
e selezione, raduni attorno a sé un principio di coscienza fisica. (Questo
lavoro è già molto percettibile negli animali – non credetevi di essere
eccezionali, che voi soltanto abbiate un essere psichico e tutto il resto della
creazione no! Comincia nel minerale, è un po’ più sviluppato nella pianta, e
nell’animale c’è un primo barlume della presenza psichica). Arriva poi il
momento in cui questo essere psichico è sufficientemente evoluto per avere una
coscienza indipendente e una volontà personale. Quindi, dopo innumerevoli vite
più o meno individualizzate, diventa cosciente di se stesso, dei suoi movimenti
e dell’ambiente che ha scelto per la propria crescita. Arrivato poi ad un certo
stato di percezione, decide – generalmente all’ultimo minuto della vita che ha
appena terminato sulla terra – le condizioni nelle quali passerà la sua
prossima vita. Qui debbo dirvi una cosa molto importante: l’essere psichico può
progredire e formare se stesso solo nella vita fisica e sulla terra. Appena
lascia un corpo, entra in un riposo che dura più o mneo a lungo in accordo con
la propria scelta e il proprio grado di evoluzione – un riposo di assimilazione
per poter compiere un progresso per così dire passivo, un riposo per una
crescita passiva che permetta allo stesso essere psichico di passare a nuove
esperienze e progredire ancora più attivamente. Ma, al termine di una vita (che
di solito non finisce fino a che l’essere psichico non abbia fatto quello che
voleva fare), questo essere psichico sceglie l’ambiente, il luogo
approssimativo, le condizioni e il tipo di vita nei quali nascerà, ed
anche un programma molto preciso delle
esperienze attraverso le quali dovrà passare in vista dei progressi che vuol realizzare.
Considerare l’idea della rinascita e le circostanze della nuova vita come una
ricompensa o una punizione di punya [meriti] o di papa [demeriti] è una rozza
idea umana di “giustizia”, assai antifilosofica e antispirituale e che distorce
il vero scopo della vita. La vita, qui in questo mondo, un’evoluzione e l’anima cresce con
l’esperienza, sviluppando attraverso di essa questo o quell’aspetto nella
natura; e se vi è sofferenza è proprio per fare questa esperienza, non per un
giudizio inflitto da Dio o dalla Legge Cosmica per gli errori o le cadute che,
nello stato d’ignoranza, sono inevitabili.
Riguardo
all’affermazione che:”Le relazioni che si stabiliscono in una nascita
persistono in successive nascite, le loro probabilità dipendono dalla forza del
legame”, sì, è possibile, ma non è la legge – di regola lo stesso tipo di
relazione non si ripete -; le stesse persone spesso si rincontrano ancora altre
volte sulla terra in vite diverse, ma le
loro relazioni sono diverse. Non sarebbe di alcuna utilità, per lo scopo che ha
la rinascita, se la stessa personalità con le stesse relazioni e con le stesse
esperienze si ripetessero di continuo.
Di solito, un’anima
segue continuamente la medesima linea del sesso. Se ci sono cambiamenti di
sesso, si tratta, come regola generale, di parti della personalità che non sono
centrali.
Ci sono dei movimenti
che possono sembrare retrogradi, ma sono solo movimenti a zig zag, non
costituiscono una vera caduta all’indietro, ma sono un ritorno di qualcosa che
non sia stato elaborato, così che si possa in seguito retrocedere in avanti.
L’anima non ritorna a una condizione animale, ma una parte della personalità
vitale può separarsi e unirsi ad una nascita animale per potervi così elaborare
le proprie propensità animali.
Non c’è alcuna verità
nella credenza popolare dell’avaro che diventa un serpente, Sono superstizioni
romantiche popolari.
L’anima, l’essere
psichico, una volta raggiunta la coscienza umana non può più regredire alla
coscienza animale inferiore, né in un albero o in un semplice insetto. E’
invece vero che una parte dell’energia vitale, o della coscienza strumentale
formatasi o una parte della natura possano farlo, e molto spesso lo fanno,
qualora ci sia un qualche forte attaccamento a qualcosa nella vita terrena.
L’unica questione che,
attraverso tutte le complicazioni, è poi la somma di tutta la filosofia e
attorno alla quale alla fine gira tutta la ricerca umana è il problema di noi
stessi: perché siamo qui e cosa siamo, cosa c’è dentro di noi, prima di noi, e
attorno a noi, e cosa dobbiamo fare di noi stessi, dei nostri significati
interiori e del mondo in cui viviamo.
Nell’idea della
rinascita evolutiva, qualora avessimo la possibilità di accettarne la verità e
di riconoscere i suoi antecedenti e le sue conseguenze, abbiamo una base
assolutamente sufficiente che possa rispondere su tutti i punti interconnessi
dell’unica eterna questione. Una evoluzione spirituale, cioè, la cui scena è
l’universo e la terra è il campo e lo stadio in cui ci troviamo, ma il cui
piano è ancora tenuto nascosto dall’alto alla nostra conoscenza limitata –
questo modo di vedere l’esistenza è una chiave luminosa che possiamo utilizzare
per molte porte di ciò che ci è oscuro.
Ma dobbiamo vederla
nella sua prospettiva corretta, per poter cogliere le sue vere proporzioni e,
soprattutto, per vederla nel suo significato spirituale più che nel suo
processo meccanico. L’incapacità di poterlo fare in modo corretto ci condurrà
in gradi sofisticazioni filosofiche, ci poterà ora da un lato ora da un altro
in esagerate negazioni e lascerà la nostra asserzione del problema, per quanto
perfetta ne possa risultare la logica, insoddisfacente e senza convinzione alla
comprensione globale dell’umanità e alla complessità della sua anima.
La sola idea di ripetute
nascite come processo dell’esistenza della nostra anima non ci porta molto più
lontano della semplice realtà materiale di questa singola vita nel corpo,
questo primo fatto della nostra sensazione cosciente e della memoria che è
l’occasione di tute le nostre speculazioni. Dietro al nostro presente punto di
partenza e precedente o stesso inizio successivo nella nostra corsa nei campi
dell0’essere, la rinascita ci ricorda in effetti di un passato, di vissuti
eventi anteriori, di un’esistenza dell’anima in molto corpi precedenti che ha
direttamente creato quello che siamo adesso. Ma per quale uso o vantaggio, se
non ci sia un significato progressivo nella nostra preesistenza e nella nostra
perseverante continuità? Fa retrocedere
davanti a noi, lontano nella nostra visione, l’ostruzione dell’imminente parete
vuota della morte; il nostro peregrinare sulla terra diventa meno un luogo o
breve non rintracciabile percorso, che termina in un improvviso ed ambiguo cul
de sac: la nostra dissoluzione fisica rimane priva del più crudele veleno del
suo aculeo. Poiché infatti il peso della morte per l’uomo, la sua creatura
pensante, volitiva, sensibile, non p la perdita di questo povero involucro o
veicolo che è il corpo, ma è la cieca finalità psichica che la morte
suggerisce, la stupida fine materiale del nostro volere, pensiero, aspirazione
e sforzo, la brutale interruzione dei cari e dolci affetti e delle relazioni
del cuore, la futile e inesorabile discontinuità di quel meraviglioso senso
dell'anima il quale tutto contiene e che ci do le nostre radianti visione della
gloria e della gioia dell’esistenza – questa è la discordanza e l’aspra
incongruenza contro le quali la creatura vivente e raziocinante si rivolta
perché incredibili e inammissibili. L’ardente sforzo verso l’immortalità della
nostra vita, mente e psiche che possono acconsentire alla cessazione solo
ribellandosi con ostilità alla propria fiamma naturale, e il suo stesso
diniego, che l’oscura acquiescenza di un corpo ce consente inerte alla morte
quanto alla vita ci apporta, rappresentano tutta la dolorosa e irriconciliabile
contraddizione della nostra duplice natura. La rinascita prende questa
difficoltà e la risolve nel senso di una
continuità dell’anima con il ritmo della ripetizione fisica. Come altre soluzioni
non materialistiche essa dà ragione all’ispirazione dell'anima invece che a
quella del corpo, e avvalora la riesca di sopravvivenza, ma diversamente da
certe altre mistifica la vita del corpo con la sia utilità per un’ininterrotta
esperienza che l’anima può avere di se stessa: il nostro così breve agire in un
corpo cessa quindi di essere un caso isolato o un brusco interludio, riceve la
giustificazione di un futuro adempimento così come di un passato creativo per
le sue azioni e relazioni altrimenti casuali. Ma la semplice persistenza, la
continuità meccanica non è sufficiente; non è tutto ciò che il nostro essere
psichico rappresenta, non è l’intero e luminoso significato della sopravvivenza
e della continuità: senza ascensione,
senza espansione, senza una qualche crescita direttamente nella luce, nella
forza del nostro Spirito, le nostre parti più elevate agiscono qui sempre
incomplete, la nostra nascita nella materia non è giustificata da nessun
significato adeguato. Staremmo ben poco meglio che nel caso in cui la morte
restasse la nostra finalità, poiché la nostra vita alla fine diviene una
futilità indefinitamente continuata e rinnovata e temporaneamente conseguente,
invece di essere una futilità inconseguente, bruscamente conclusa e subito
condannata. Con la rinascita, inoltre, anche questo mondo attorno a noi, il
nostro ambiente, le sue suggestioni e le sue opportunità non sono più lasciati
come campo di una fioritura fisica effimera o come una Vita che ben poco si
preoccupa dell’individuo e che ha per costui ben poco si preoccupa dell’individuo
o che ha per costui ben poco significato, sebbene forse possa offrire molto
alla specie durante la sua incerta e maggiore durata. Il mondo sviluppa invece
attorno a noi un campo di esperienze dell’anima, un sistema di ricorrenze
dell'anima, un mezzo di auto-effettuazione, forse una cristallizzazione delle
effettive immagini, riflessioni di sé dell’essere cosciente. Ma per quale
finalità, se la nostra ricorrenza è solo una ripetizione o una fluttuazione
esitante entro pochi modelli fissi con un campo di realizzazioni molto limitato
e sempre incompleto? Poiché infatti sarebbe proprio così, se non c’è sbocco
verso l’alto, se non c’è una progressioni infinita o liberazione o estensione
nelle infinità dell’anima. La rinascita ci dice che quel che siamo è un’anima
che opera costantemente il miracolo della propria incarnazione; ma il perché di
questa incarnazione, cosa debba fare, qui, quest’anima con se stessa e quale
uso debba fare di questo mondo che gli viene dato come suo grandioso scenario,
con il suo difficile e plastico materiale e il suo assediante insieme di
stimoli e suggestioni multiformi, non è affatto più chiaro di prima. La percezione invece della
rinascita come un’occasione e un mezzo di evoluzione spirituale colma ogni
lacuna. Fa della vita un’ascensione significativa e non una ricorrenza
meccanica; ci apre le prospettive divine di un’anima in crescita; rende il
mondo un nesso dell’’espansione spirituale di se stessi; ci mette alla ricerca,
e con una sicura promessa per tutti di una grande scoperta ora o in seguito;
dell’auto-conoscenza del nostro Spirito e dell’auto –realizzazione nella nostra
esistenza di una intenzione saggia e divina. La sensazione opprimente di un
cerchio di ricorrenze meccaniche e l’appassionata ricerca di uno sbocco verso
una fuga assoluta avevano ossessionato i vecchi enunciati sulla verità della
rinascita e avevano lasciato su di essi, nonostante le profondità scandagliate,
una certa impronta di inadeguatezza insoddisfatta, - non erano illogici, poiché
sono sufficientemente logici una volta ammesse le loro premesse, ma
insoddisfacenti, perché non ci giustificano il nostro esistere. Poiché infatti
omettendo l’utilità divina dell’opera cosmica,
essi non ci spiegano con sufficientemente ampia, diligente e risoluta
completezza Dio, noi stessi e l’esistenza, negano troppo, mancano il senso
positivo del nostro anelito, e lasciano risuonare un’immensa nota di futilità
spirituale e di discordia cosmica.
Gli interrogativi che
circondano la nostra esistenza si spiegano allora tutti assieme con una certa
soddisfacente pienezza. Siamo un’anima dello Spirito e del Sé trascendenti che
si dispiega nel cosmo in una costante personificazione evolutiva, della quale
l’aspetto fisico è solo un basamento di forma che corrisponde nella sia
evoluzione ai gradi ascendenti dello spirito, ma la cui crescita spirituale è
il senso reale e il movente. Ciò che si trova dietro a noi è la condizione
passata dell’evoluzione spirituale, le gradazioni ascendenti dello spirito già
scalate, dalle quali attraverso costanti rinascite abbiamo sviluppato quello
che siamo, e stiamo tutt’ora sviluppando questa condizione umana presente e
intermedia dell’ascensione. Quello che ci circonda p il costante processo della
rivelazione nel suo aspetto universale; le condizione passate vi sono
contenute, contemplate, da noi superate, ma in modo generale e vario ancora
ripetute come un supporto ed uno sfondo;
le condizioni presenti esistono con come un’inutile ricorrenza, ma in
una gestazione attiva e significativa di tutto ciò che deve essere ancora
rivelato dallo spirito, non una ricorrenza decimale irrazionale che ripete per
sempre le sue figure invano, ma una serie in espansione dei poteri
dell’Infinto. Quello che ci sta di fronte sono le maggiori potenzialità, i gradi
non ancora ascesi, le ancora più grandiose manifestazioni che sono state
intese. Noi siamo qui per essere questo mezzo dell’ascendente manifestazione di
sé dello spirito. Quello che dobbiamo fare con noi stessi e con i nostri
significati è di crescere e di aprirli ai più grandi significati dell’essere
divino, della coscienza divina, potere divino, gioia divina, della coscienza
divina, potere divino, gioia divina e unità molteplice, e quello che dobbiamo
fare col nostro ambiente è di usarlo coscientemente sempre più per scopi spirituali e farne sempre più
una forma per il dispiegarsi ideale di una perfetta natura e concezione di sé
del Divino nel cosmo. E’ questa sicuramente
I VEDA
I Veda sono la creazione
di una antica struttura mentale intuitiva e simbolica alla quale la mente
successiva dell'uomo, fortemente intellettualizzata e governata da un lato
dall'idea razionale e da concezioni astratte, dall'altro dai fatti della vita e
della materia accettati per come essi si presentano ai sensi ed
all'intelligenza senza ricercare in essi
alcun significato divino o mistico, abbandonandosi all'immaginazione come gioco
della creatività estetica piuttosto che come possibilità di apertura delle
porte della verità e confidando nei suoi suggerimenti solo quando essi sono
confermati dalla ragione o dall'esperienza fisica, esclusivamente consapevole
di intuizioni prudentemente intellettualizzate e recalcitrante verso la maggior
parte delle altre, è cresciuta totalmente estranea.
Non è perciò
sorprendente che i Veda siano diventati incomprensibili alle nostre menti
tranne che nel loro aspetto linguistico più esteriore e conosciuti inoltre
molto imperfettamente per l'ostacolo costituito da una lingua antica e non
pienamente compresa, e che si siano fatte le più inadeguate interpretazioni per
ridurre questa grande creazione di una mente umana giovane e splendida a uno
scarabocchio pasticciato e mutilato, a un pot-pourri incoerente di assurdità di
un'immaginazione primitiva tesa a complicare ciò che altrimenti sarebbe l'assai
semplice, uniforme e comune testimonianza di una religione naturalistica che
rispecchiava solo e solo poteva servire i rozzi e materialistici desideri di
una barbara mentalità di vita. I Veda divennero poi, per l'idea scolastica e
ritualistica di preti indù e dei Pandit, niente di più che un libro di
mitologia e di cerimonie sacrificali; gli studiosi europei, ricercando in essi
solo ciò che era di un qualche interesse razionale - la storia, i miti e le
nozioni religiose popolari di una razza primitiva - hanno tuttavia fatto il
torto peggiore ai Veda e insistendo su una interpretazione totalmente esteriore
li hanno spogliati ancor di più del loro interesse spirituale e della loro
bellezza e grandezza poetica. Ma così non era per i Rishi vedici o per i grandi
veggenti e pensatori che li seguirono e svilupparono dalle loro intuizioni
luminose e pregnanti una propria, meravigliosa struttura di pensiero e parola
costruita su una rivelazione spirituale e un'esperienza senza precedenti. I
Veda furono per questi antichi veggenti il Mondo che scopriva
Queste divinità furono
ad un tempo signori della Natura fisica e delle sue forme e dei suoi principi;
i loro dèi, i loro corpi e gli intimi poteri divini con le loro corrispondenti
condizioni ed energia sono innati nel nostro essere psichico perché‚ essi sono
i poteri spirituali dell'universo, i guardiani della verità e dell’immortalità,
i figli dell'infinito e ciascuno di essi è anche nella sua origine e nella sua
realtà ultima lo Spirito supremo che evidenzia uno dei suoi aspetti. La vita
dell'uomo fu per questi veggenti una realtà combinata di verità e menzogna, un
movimento dal mortale all'immortale, da una commistione di luce e di oscurità
allo splendore di una verità divina la cui dimora è al di sopra, nell'infinito
ma che può essere costruita nell'anima e nella vita dell'uomo, una battaglia
tra i figli della luce e quelli della notte, l'ottenimento di un tesoro, della
vera ricchezza, la ricompensa garantita dagli dèi all'uomo guerriero,
un'avventura ed un sacrificio; e di questa realtà essi parlarono all'interno di
un sistema stabilito di immagini prese dalla Natura e dalla circostante vita
guerriera, pastorale e agricola della gente ariana, centrato intorno al culto
del fuoco, all'adorazione dei poteri viventi della natura e alla cerimonia del
sacrificio. Ogni dettaglio dell'esistenza profana e del sacrificio erano
simboli nella loro vita e nelle loro attività, nella loro poesia, non simboli
morti o metafore artificiali, ma viventi e potenti suggestioni, controparti di
realtà interiore. Ed essi usarono inoltre nella loro espressione un corpo
stabilito e tuttavia variato di altre immagini e uno splendido tessuto di mito
e parabola, immagini che diventavano parabole, parabole che diventavano miti,
miti che restavano comunque immagini, e tuttavia tutte queste cose costituivano
per essi, in un modo che può essere compreso di un certo genere di esperienze
psichiche, realtà effettive. Il fisico scioglieva le sue ombre negli splendori
dello psichico, lo psichico cresceva nella luce dello spirituale e non esisteva
alcuna linea netta di divisione in questi passaggi, ma una fusione naturale e
una compenetrazione delle loro suggestioni e dei loro colori. E' evidente che
una poesia di questo genere, composta da uomini con questo genere di visione o
immaginazione, non può essere né interpretata né giudicata dai modelli di una
ragione e di un gusto fedeli ai soli canoni dell'esistenza fisica.
L'invocazione "Appari o lampo di luce e vieni a noi!" evoca ad un
tempo il fenomeno dell'ascendere e del bagliore del potente fuoco sacrificale
sull'altare fisico e un corrispondente fenomeno psichico, la manifestazione di
una fiamma redentrice di un potere e una luce divina dentro di noi. Il critico
schernisce la sfrontata e audace e per lui mostruosa immagine nella quale Indra
figlio della terra e del cielo crea il proprio padre e la propria madre; ma se
ricordiamo che Indra è lo spirito supremo in uno dei suoi aspetti eterni e
immortali, creatore del cielo e della terra, divinità cosmica generata tra il
mondo fisico e quello mentale per ricostruire i loro poteri nell'uomo, vedremo
come l'immagine non sia solo una efficace ma una vera e rivelatrice
rappresentazione, e per la tecnica vedica poco importa se fa violenza alla
nostra immaginazione dal momento che esprime una più grande realtà come nessuna
altra avrebbe potuto con la stessa consapevole attitudine e la stessa vivida
forza poetica. Il toro e
I poeti vedici sono
maestri dalla tecnica consumata, i loro ritmi sono scolpiti come carri degli
dèi e portati da grandi e divine ali di suono ad un tempo concentrati e
dilatati, ampi nel movimento e sottili nella modulazione, il loro discorso è
lirico per intensità ed epico per elevazione, un'espressione di grande potere,
pura e intrepida e dallo splendido profilo, dall'effetto diretto e incisivo,
pienamente profusa di senso e di suggestione così che ogni singolo verso esiste
allo stesso tempo come cosa definita ed autonoma e come ampia connessione tra
ciò che è venuto prima e quanto lo segue. Una sacra tradizione sacerdotale
fedelmente osservata diede loro sia forma che significato, ma questo
significato consisteva nelle più profonde esperienze psichiche e spirituali
delle quali l'anima dell'uomo è capace e raramente o mai le forme degeneravano
in convenzione, poiché‚ ciò che dovevano trasmettere era vissuto interiormente
da ogni poeta e rinnovato in espressione nella propria mente attraverso le
sottigliezze e le maestrie della visione individuale. Le voci dei più grandi
veggenti, Vishwamitra, Vamadeva, Dirghtamas, e molti altri, toccano le più alte
vette e latitudini di una poesia mistica e sublime ed esistono poemi come
l'Inno della creazione che si innalzano in tremenda chiarezza alle sommità di
pensiero sulle quali si muovono costantemente, con una maggiore ampiezza di
respiro, le Upanishad. La mente dell'antica India non sbagliò nel riallacciare
tutta la sua filosofia, la religione e le realtà essenziali della sua cultura a
questi poeti-veggenti, poiché la futura spiritualità del suo popolo è contenuta
in nuce o nell'espressione originaria. E' una grande cura e un corretto
comprendere gli inni vedici come forma di letteratura sacra che ci aiuta a
vedere il primo sviluppo non solo delle idee-guida che hanno governato la mente
dell'India, ma dei suoi tipi caratteristici di esperienza spirituale, della sua
forma mentale immaginativa, del suo temperamento creativo e del genere di forme
significanti con le quali essa ha costantemente rappresentato il suo sguardo
verso se stessa, la realtà, la vita e l'universo.
Esiste in gran parte
della letteratura lo stesso genere di ispirazione e di espressione che vediamo
nell'architettura, nella pittura e nella scultura.
Il suo primo aspetto è
un senso costante dell'infinito, del cosmico, di realtà viste come parte della
visione cosmica o da questa influenzate, dirette a favore o contro l'ampiezza
dell'uno e dell'infinito; la sua seconda peculiarità è una tendenza a vedere e
interpretare la propria esperienza spirituale con una grande ricchezza di
immagini mutuate dal piano psichico interiore oppure in immagini fisiche
tramutate dall'azione di un significato, un'impronta, una volontà di immagine
psichici; e la sua terza inclinazione è ad immaginare la vita terrestre spesso
amplificata, come nel Mahabharata e nel Ramayana, o altrimenti raffinata nelle
trasparenze di una più vasta atmosfera, accompagnata da un significato più
grande di quello terrestre o comunque presentata sullo sfondo dei mondi
spirituali e psichici e non solo nella propria separata immagine. Lo
spirituale, l'infinito è vicino e reale e gli dèi sono reali e i mondi
ulteriori non tanto al di là quanto immanenti alla nostra esistenza.
LE UPANISHAD
Le Upanishad sono
l'opera suprema del pensiero indiano, e che sia effettivamente così, che
l'altissima espressione della personalità del proprio genio, la loro sublime
capacità poetica, la loro enorme capacità creativa in pensiero e in parola, non
siano un capolavoro letterario o poetico della mente ordinaria, ma un ampio
flusso di rivelazione spirituale per questo carattere profondo e diretto, è un
fatto significativo, prova di una mentalità unica e di una non comune
inclinazione dello spirito. Le Upanishad sono nello stesso tempo profonda
scrittura religiosa, in quanto testimonianza delle più assolute esperienze
spirituali, documenti di una filosofia rivelatrice e intuitiva di luce, potere
e ampiezza inesauribili e, sia in prosa che in metrica, poemi spirituali di una
assoluta, infallibile ispirazione costante nel linguaggio, straordinaria per
ritmo ed espressione. E' la manifestazione di una mente nella quale filosofia e
religione e poesia sono diventate una cosa sola, perché‚ questa religione non
termina in un culto né è limitata ad una aspirazione di tipo etico-religioso,
ma si innalza verso una scoperta infinita di Dio, del Sé, della nostra più alta
e totale realtà spirituale e di esseri viventi e descrive un'estasi di luminosa
conoscenza e un'estasi di partecipe e compiuta esperienza; questa filosofia non
è un'astratta speculazione intellettuale intorno alla Verità o una delle
strutture dell'intelligenza logica, ma una verità vista, esperimentata,
vissuta, posseduta dalla mente e dall'anima più profonda nella gioia di
esprimere una sicura scoperta e possesso, e questa poesia è opera di una
concezione estetica innalzata oltre il suo ambito ordinario per esprimere la
meraviglia e la bellezza della più rara autocoscienza spirituale e della più
profonda, ispirata Verità del Sé e di Dio e dell'universo. Qui lo spirito
intuitivo e l'intima esperienza psicologica dei veggenti vedici perviene a un culmine
supremo in cui lo Spirito, come è detto in un passaggio della Katha Upanishad,
svela la sua più vera essenza, rivela la parola esatta della sua
autoespressione e apre alla mente la vibrazione di ritmi che, ripetuti
all'ascolto spirituale sembrano sostanziare l'anima e porla, ricolma e
compiuta, sulle sommità dell'autoconoscenza.
Le Upanishad sono stata
la sorgente riconosciuta di varie e profonde filosofie e religioni che da esse
sono poi scorse in India come i grandi fiumi dalla culla himalayana rendendo
fertili la mente e la vita degli uomini e hanno mantenuto viva la sua anima
lungo il grande procedere dei secoli ritornando costantemente ad esse per la
rivelazione, mai mancando di dare nuova illuminazione, fontana di inesauribili
acque di vita. Il Buddismo con tutti i suoi sviluppi fu solo una
riaffermazione, sebbene da un nuovo punto di vista e con nuovi termini di
definizione e di ragionamento intellettuale, di un aspetto di questa esperienza
e la portò così modificata nella forma, ma appena nella sostanza, attraverso
tutta l'Asia e a occidente verso l'Europa.
Le idee contenute nelle
Upanishad possono essere ritrovate in molto del pensiero di Pitagora e Platone
e costituiscono la parte più profonda del Neo Platonismo e dello Gnosticismo
con tutte le loro importanti conseguenze sul pensiero filosofico occidentale, e
il Sufismo le ripete soltanto in un altro linguaggio religioso. La parte più
consistente della metafisica tedesca è in sostanza poco più che uno sviluppo
intellettuale di grandi realtà meglio spiritualmente comprese da questo antico
sapere, e il pensiero moderno le sta rapidamente assorbendo con una ricettività
sempre più essenziale, viva ed intensa che promette una rivoluzione tanto nel
pensiero filosofico quanto in quello religioso; ora esse filtrano grazie a
varie influenze indirette, ora si esprimono in modi aperti e diretti. Quasi non
esiste una grande idea filosofica che non possa trovare forza o una nuova
origine o indicazioni in queste antiche scritture, le speculazioni, secondo un
certo punto di vista, di pensatori che non avevano miglior passato o miglior
base culturale al loro pensiero di una rozza, primitiva, naturalistica ed
animistica ignoranza. E persino le più ampie generalizzazioni della scienza si
ritrovano costantemente applicabili alla verità delle formule della natura
fisica già scoperta dai saggi indiani nel loro originale, nel loro più vasto
significato, nella più profonda verità dello spirito. E tuttavia queste opere
non sono speculazioni filosofiche di genere intellettuale, analisi di tipo
metafisico che cercano di definire nozioni, di selezionare idee e di
distinguere quante tra di loro sono vere, di logificare la verità o aiutare
altrimenti la mente nelle sue inclinazioni intellettuali per mezzo del
ragionamento dialettico e nel suo concetto di proporre una soluzione definitiva
dell'esistenza nella luce di questa o di quella idea della ragione e di
osservare tutte le cose da quel solo punto di vista, in quel fuoco e in quella
determinata prospettiva. Le Upanishad non avrebbero potuto avere una vitalità
così perenne, esercitare una influenza così sicura, produrre tali risultati o
vedere oggi le loro asserzioni autonomamente confermate in altri ambiti di
ricerca e attraverso metodi completamente diversi, se fossero state opere di
quel genere. E' perché‚ questi veggenti videro
I TANTRA
Osserviamo innanzitutto
che esiste tuttora in India un notevole sistema yogico che è per sua natura
sintetico e parte da un grande principio centrale della Natura, da una grande
forza dinamica della Natura; ma si tratta di uno yoga distinto, non di una
sintesi di altre scuole. Questo sistema è la via del Tantra. A causa di
qualcuno dei suoi sviluppi, il Tantra è caduto in discredito fra coloro che non
sono tantrici; ciò principalmente a causa degli sviluppi del suo sentiero della
mano sinistra, il Vama Marga, che non pagò di superare la dualità della virtù e
del peccato, invece di sostituirli con una spontanea rettitudine dell'agire, è
sembrato costituirsi come metodo di auto-indulgenza, di libera immortalità
sociale. Tuttavia, all'origine il Tantra fu un ampio e potente sistema basato
su concezioni che erano almeno parzialmente vere. Anche la sua duplice
divisione tra i sentieri della mano destra e della mano sinistra, Dakshina
Marga e Vama Marga, trovò origine in una sicura e profonda intuizione.
Nell'antico senso simbolico dei termini Dakshina e Vama, si trattava della
distinzione tra la via della conoscenza e la via dell'ananda, la natura
dell'uomo che si liberava attraverso un esatto discernimento dei poteri e delle
attività delle proprie energie, elementi e potenzialità e la natura nell'uomo
che si liberava attraverso invece la gioiosa accettazione dei poteri e delle
attività delle proprie energie, elementi e potenzialità. Ma in entrambe le vie vi
fu alla fine un oscurarsi dei principi, una deformazione simbolica e una
caduta.
Se comunque abbandoniamo
anche qui i metodi e le pratiche attuali e ricerchiamo il principio centrale,
troviamo come prima cosa il fatto che il Tantra si differenzia espressamente
dai metodi yoga di tipo vedico. In un certo senso, tutte le scuole che abbiamo
sin qui esaminato sono vedantiche nella loro concezione; la loro forza è nella
conoscenza, il loro metodo è nella conoscenza, sebbene essa non sia sempre
discernimento attraverso l'intelletto ma possa invece essere conoscenza del
cuore espressa nell'amore e nella fede o conoscenza della volontà che si
sviluppa attraverso l'azione. In tutte il Signore dello yoga è il Purusha,
l'anima consapevole che conosce, osserva, attrae, dirige. Ma nel Tantra è
piuttosto Prakriti, l'anima natura, l'energia, la forza volontà esecutrice
dell'universo. Fu scoprendo ed applicando i segreti più intimi di questa forza
volontà, il suo metodo, il suo Tantra, che lo yogi tantrico perseguì gli scopi
della sua disciplina, conoscenza profonda, perfezione, liberazione,
beatitudine. Invece di ritirarsi di fronte alla Natura manifestata e alle sue
difficoltà, egli le affrontò, se ne impadronì e le vinse. Ma alla fine, come è
nella tendenza generale di Prakriti, lo yoga tantrico perse gran parte dei suoi
principi nei suoi meccanismi e divenne un oggetto di formule e azioni occulte
ancora potenti quando rettamente usate ma cadute della chiarezza del loro
concetto originario. Abbiamo in questa concezione tantrica centrale un aspetto
della verità, l'adorazione dell'energia, della Shakti, come sola forza
effettuale per ogni realizzazione. Cogliamo l'altro estremo nella concezione
vedantica della Shakti come potere illusionistico e nella ricerca del silenzioso
e immobile Purusha come mezzo di liberazione dagli inganni prodotti
dall'energia creatrice. Ma nella concezione integrale l'anima integrale,
l'anima conscia rappresenta il Signore, l'anima natura la sua energia
esecutrice. Il Purusha è della natura di Sat, conscia autoesistenza pura ed
infinita; Shakti o Prakriti sono della natura di Chit, il potere della conscia
autoesistenza pura ed infinita del Purusha. La relazione tra i due si trova tra
i poli del riposo e dell'azione. Quando l'energia è assorbita nella beatitudine
del conscio autoesistere, c'è riposo; quando il Purusha si espande nell'azione
della sua energia, c'è attività, creazione e gioia o Ananda del divenire. Ma se
l'Ananda è il creatore e la causa di ogni divenire, il suo metodo è Tapas o la
forza della coscienza del Purusha che è propria alla sua infinita potenzialità
di esistenza e che da essa produce verità ideali, o vere idee, Vijana, le quali
derivando da una onnisciente e onnipotente autoesistenza, possiedono la
certezza del proprio compimento e contengono in se stesse la natura e la legge
del proprio divenire nei termini della mente, della vita e della materia.
La finale onnipotenza di
Tapas e l'infallibile compimento delle idee sono il fondamento reale di ogni
yoga. La disciplina tantrica è per sua natura una sintesi. Si è impadronita
della grande verità universale che esistono due poli dell'essere la cui unità
essenziale è il segreto dell'esistenza, Brahman e Shakti, Spirito e natura, e
che la natura è potere dello spirito o, piuttosto, spirito come potere. Elevare
la natura nell'uomo a manifesto potere dello spirito è il suo modo di
procedere, ed è l'intera natura che essa raduna verso la conversione
spirituale. Include tra i suoi strumenti gli energici processi hathayogici e
specialmente l'apertura dei centri nervosi ed il passaggio attraverso di essi
della Shakti risvegliata nel suo procedere verso l'unione con il Brahman, lo
sforzo più sottile della purificazione, meditazione e concentrazione
rajayogici, l'azione della forza di volontà, il potere motore della devozione,
la chiave della conoscenza. Ma essa non si arresta al riuscito assemblaggio
delle differenti facoltà di questi yoga specifici. In due direzioni essa amplia
attraverso la sua azione sintetica l'ambito del metodo yogico. Dapprima, pone
fermamente le proprie mani su molte delle cause principali dell'azione, del
desiderio e delle qualità umane e le assoggetta a una disciplina intensiva con
il dominio spirituale dei propri impulsi come primo scopo e la loro elevazione
a un livello spirituale più prossimo al divino come realizzazione finale.
Ancora, essa include tra gli obiettivi del suo yoga non soltanto la
liberazione, che è la preoccupazione onnidominante dei sistemi specifici, ma
una gioia cosmica del potere dello spirito, che gli altri metodi possono
accettare strada facendo incidentalmente, in parte o casualmente, ma che
evitano di considerare come movente o come scopo. Si tratta di un sistema più
audace e più vasto. Nel metodo di sintesi che siamo andati seguendo, è stata perseguita
un'altra idea di principio che deriva da un differente punto di vista circa le
possibilità dello yoga. Questa parte dal metodo del Vedanta per giungere agli
obiettivi del Tantra. Nel metodo tantrico
Sulla Shakti
Parlerò oggi della
Shakti o volontà-energia, poiché essa è il fondamento dello Yoga.
Sotto di essa, alla
sommità del cranio, c'è
Il Manas è nel petto,
proprio sopra al cuore, ed è l'organo sensoriale con i suoi cinque Indrya
subordinati. Sotto il Manas, tra il cuore e l'ombelico, si trova Chitta (coscienza
di base, mente emotiva, mente del cuore). Da quel punto fino all'ombelico ed
oltre è la regione del prana psichico suksma (i piani sottili dell'essere).
Tutti si trovano nel sukshmadeha, ma sono collegati ai rispettivi punti con lo
Sthula Deha (il corpo materiale). Due funzioni sono situate nello sthula deha
stesso: il prana fisico o sistema nervoso e lo Annam o corpo materiale (materia
grossolana). Ora,
NOTE
Sahasradala: il settimo
chakra detto Loto dei mille petali.
Buddhi: intelligenza,
comprensione, il principio del discernimento.
Manas: mente sensoria.
Chitta:. coscienza di
base, mente emotiva, mente del cuore.
Suksma: i piani sottili
dell'essere, parti sottili dell'essere umano.
Suksma deha: il corpo
sottile.
Sthula deha: il corpo
materiale.
Annam: corpo materiale,
materia grossolana.
Kartavya e akartavya: il
dovere, e ciò che non deve essere fatto.
Anisha: non signore, non
padrone, soggetto alla natura.
Tratto dalla rivista
edita a Pondicherry dall'Aurobindo Ashram "DOMANI", NOV 1989 PAG. 256
Nirvana
brani tratti da
"Lettere sullo Yoga" di Sri Aurobindo vol. 1, Ed. Arka
Il raggiungimento del
Nirvana mi proiettò all' improvviso in una condizione al di sopra, senza
pensiero e non contaminata da alcun movimento mentale o vitale; non c'era ego,
né mondo reale; solo quando "si" guardava attraverso i sensi
immobili, qualcosa percepiva o portava sul suo assoluto silenzio un mondo di
forme vuote, di ombre materializzate prive di vera sostanza. Non c'era l'Uno e
neppure il Molteplice, ma solo e assolutamente Quello, senza forma, senza
relazioni, puro, indescrivibile, impensabile, assoluto, tuttavia supremamente
reale e unicamente reale. Non si trattava di una realizzazione mentale né di
qualcosa intravisto lassù da qualche parte, non era un'astrazione, era
positivo, l'unica realtà positiva (sebbene non fosse un mondo fisico spaziale)
che pervadeva, occupava o piuttosto inondava e sommergeva questa sembianza di
mondo fisico, senza lasciar posto o spazio a qualunque realtà che non fosse se
stessa, senza permettere in alcun modo ad altro di sembrare reale, positivo o
sostanziale. Non posso dire che nell'esperienza, così come la ebbi, ci sia
stato qualcosa di esaltante o di affascinante - l'Ananda (beatitudine)
ineffabile lo ebbi anni più tardi - ma ciò che portò fu una Pace inesprimibile,
un silenzio stupendo, un'infinita liberazione e libertà. Vissi in quel Nirvana
giorno e notte prima che esso cominciasse ad accogliere in sé altre cose o a
modificarsi, e il nucleo stesso dell'esperienza,il suo ricordo costante e il
suo potere di ritornare rimasero finché alla fine essa cominciò a scomparire in
una più grande Supercoscienza più in alto. Ma, nel frattempo,una realizzazione
veniva ad aggiungersi ad un'altra realizzazione e si fondeva con questa esperienza
originale. Presto l'aspetto di un mondo illusorio lasciò il posto ad un aspetto
in cui l'illusione - l'interpretazione sbagliata da parte della mente e dei
sensi dell'esistenza manifestata - non era che un piccolo fenomeno di
superficie con un'immensa Realtà divina dietro, una suprema Realtà divina al di
sopra, e un'intensa Realtà divina nel cuore di tutte le cose che,all'inizio, mi
erano sembrate solo immagini od ombre cinematografiche. E questo non era un
reimprigionamento nei sensi, una diminuzione o una caduta dall'esperienza
suprema; anzi era come un'elevazione e un ampliamento costanti della Verità;
era lo spirito, non i sensi, a vedere gli oggetti, e
Nell' esperienza
spirituale è a volte la perdita di ogni senso d'individualità in una coscienza
cosmica illimitata; quello che era l'individuo resta solo come un centro o un
canale per il flusso di una coscienza cosmica e di una forza e un' azione
cosmiche. O può essere l' esperienza della perdita dell'individualità in un
essere e una coscienza trascendenti in cui scompare tanto il senso del cosmo
quanto l' individuo, oppure in una trascendenza che è cosciente dell' azione
cosmica e la sostiene. Ma che cosa intendiamo per individuo? Quello che in
genere chiamiamo con questo nome è un ego naturale, un espediente con cui
LE UPANISHAD
Le Upanishad sono
l'opera suprema del pensiero indiano, e che sia effettivamente così, che
l'altissima espressione della personalità del proprio genio la loro sublime
capacità poetica, la loro enorme capacità creativa in pensiero e in parola, non
siano un capolavoro letterario o poetico della mente ordinaria, ma un ampio
flusso di rivelazione spirituale per questo carattere profondo e diretto, è un
fatto significativo, prova di una mentalità unica e di non comune inclinazione
dello spirito. Le Upanishad sono nello stesso tempo profonda scrittura
religiosa, in quanto testimonianza delle più assolute esperienze spirituali,
documenti di una filosofia rivelatrice e intuitiva di luce, potere e ampiezza
inesauribili e, sia in prosa che in metrica, poemi spirituali di una assoluta,
infallibile ispirazione costante nel linguaggio, straordinaria per ritmo ed
espressione. E' la manifestazione di una mente nella quale filosofia e
religione e poesia sono diventate una cosa sola, perché questa religione non
termina in un culto ne è limitata ad un aspirazione di tipo etico-religioso, ma
si innalza verso una scoperta infinita di Dio, del Sé, della nostra più alta e
totale realtà spirituale e di esseri viventi e descrive un'estasi di luminosa
conoscenza e un'estasi di partecipe compiuta esperienza; questa filosofia non è
un'astratta speculazione intellettuale intorno alla Verità o una delle
strutture dell'intelligenza logica, ma una verità vista, esperita, vissuta,
posseduta dalla mente e dall'anima più profonda nella gioia di esprimere una
sicura scoperta di possesso, e questa poesia è opera di una concezione estetica
innalzata oltre l'ambito ordinario per esprimere la meraviglia e la bellezza
della più rara autocoscienza spirituale e della più profonda, ispirata Verità
del Sé e di Dio e dell'Universo. Qui lo spirito intuitivo e l'intima esperienza
psicologica dei veggenti vedici perviene ad un culmine supremo in cui lo
Spirito, come è detto in un passaggio della Katha Upanishad, svela la sua più
vera essenza, rivela la parola esatta della sua auto espressione e apre alla
mente la vibrazione dei ritmi che, ripetuti all'ascolto spirituale sembrano
sostanziare l'anima e porla, ricolma e compiuta, sulle sommità dell'
autoconoscenza.
Le Upanishad sono state
la sorgente riconosciuta di varie e profonde filosofie e religioni che da esse
sono poi scorse in India come i suoi grandi fiumi dalla culla himalayana
rendendo fertili la mente e la vita degli uomini e hanno mantenuto viva la sua
anima lungo il grande procedere dei secoli ritornando costantemente ad esse per
la rivelazione, mai mancando di dare nuova illuminazione, fontana di
inesauribili acque di vita. Il Buddismo con tutti i suoi sviluppi fu solo una
riaffermazione, sebbene da un nuovo punto di vista e con nuovi termini di
definizione di ragionamento intellettuale, di un aspetto di questa esperienza e
la portò così modificata nella forma, ma appena nella sostanza, attraverso
tutta l'Asia e a Occidente verso l'Europa. Le idee contenute nelle Upanishad
possono essere ritrovate in molto nel pensiero di Pitagora e Platone e
costituiscono la parte più profonda del Neo-Platonismo e dello Gnosticismo con
tutte le loro importanti conseguenze sul pensiero filosofico occidentale, e il
Sufismo le ripete in un altro linguaggio religioso. La parte più consistente
della metafisica tedesca è in sostanza poco più che uno sviluppo intellettuale
e di grandi realtà meglio spiritualmente comprese da questo antico sapere, e il
pensiero moderno le sta rapidamente assorbendo con una ricettività sempre più
essenziale, viva ed intensa che promette una rivoluzione tanto nel pensiero,
quanto in quello religioso; ora esse filtrano grazie a varie influenze
indirette, ora si esprimono in modi aperti e diretti.
Quasi non esiste una
grande idea filosofica che non possa trovare forza o una nuova origine o
indicazioni in queste antiche scritture, le speculazioni, secondo un certo
punto di vista, di pensatori che non avevano migliore passato o migliore base
culturale al loro pensiero di una rozza primitiva, naturalistica ed animistica
ignoranza. E persino le più ampie generalizzazioni della scienza si ritrovano
costantemente applicabili alla verità delle formule della natura fisica già
scoperta dai saggi indiani nel loro originale, nel loro più vasto significato,
nella più profonda verità dello spirito.
E tuttavia queste opere
non sono speculazioni filosofiche di genere intellettuale, analisi di tipo
metafisico che cercano di definire nozioni, di selezionare idee e di
distinguere quante tra di loro sono vere, di logificare la verità o aiutare
altrimenti la mente nelle sue inclinazioni intellettuali per mezzo del
ragionamento dialettico e nel suo concetto di proporre una soluzione definitiva
dell'esistenza nella luce di questa o di quella idea della ragione e di
osservare tutte le cose da quel solo punto di vista, in quel fuoco e in quella
determinata prospettiva. Le Upanishad non avrebbero potuto avere una vitalità
così perenne, esercitare una influenza così sicura, produrre tali risultati o
vedere oggi le loro asserzioni autonomamente confermate in altri ambiti di
ricerca e attraverso metodi completamente diversi, se fossero state opere del
genere. E' perché questi veggenti videro
E attraverso questo
sforzo essi giunsero facilmente a comprendere che il Sé in noi è una cosa sola
con il Sé universale di tutte le cose e ancora che questo Sé non è che Dio e il
Brahman, un Essere o una Esistenza trascendenti, ed essi videro, sentirono,
vissero nella più totale intima verità di tutte le cose dell'universo e nella
più intima verità dell'esistenza interiore ed esteriore dell'uomo grazie alla
luce di questa sola e unificante visione. Le Upanishad sono inni della
conoscenza del Sé dell'universo e di Dio. Le grandi formule di verità
filosofiche di cui esse abbondano non sono astratte generalizzazioni
intellettuali, realtà che possono rischiarare ed illuminare la mente ma che non
vivono e non spingono l'anima ad ascendere, ma sono ardori e luci di un
illuminazione intuitiva e rivelatrice, raggiungimento e comprensione della sola
Esistenza, della Divinità trascendente, del divino e universale Sé, scoperta
della sua ruvelazione con le cose e le creature di questa grande manifestazione
cosmica. Canti di un ispirato sapere, essi emanano come tutti gli inni un tono
di aspirazione ed estasi religiose, non del genere scarsamente profondo proprio
a un sentimento religioso minore, ma innalzato al di là del culto e di forme
particolari di devozione, verso l'universale Ananda del Divino che ci raggiunge
attraverso l'avvicinamento e l'identità con l'autocosciente Spirito universale.
E sebbene principalmente concernenti la visione interiore e non direttamente
l'agire umano esteriore, tutte le più importanti etiche del Buddismo e
dell'Induismo posteriore sono tuttavia ancora della stessa vita e del
significato delle verità alle quali essi danno forma espressiva e forza e
tuttavia esiste qualcosa di più grande di qualunque precetto etico e norma di
virtù mentale, l'ideale supremo di una azione spirituale fondata sull'identità
con Dio e con tutti gli esseri viventi. Perciò anche quando sono morte le forme
del culto vedico, le Upanishad sono rimaste viventi e creative ed hanno potuto
generare le grandi religioni devozionali e sostenere la duratura concezione
indiana del Dharma.
Le Upanishad sono la
creazione di una mente rivelatrice e intuitiva e della sua illimitata
esperienza; la loro sostanza, la struttura, l'espressione, il linguaggio
figurato e le dinamiche sono determinanti e contrassegnati da questo carattere
originale.
Queste verità supreme e
onnipervadenti visioni di unità, del Sé e di un essere divino universale sono
proiettate in frasi concise e monumentali che le portano immediatamente di
fronte alla visione dell'anima e le rendono presenti e imperative per la sua
aspirazione e la sua esperienza e sono espresse in brani poetici pieni di
potere rivelatore e di una concezione suggestiva che scopre l'intero infinito
attraverso un'immagine finita. L'Uno è la rivelato ma ha anche dischiuso i suoi
innumerevoli aspetti, e ciascuno guadagna pieno significato attraverso l'ampiezza
dell'espressione e trova, come in una spontanea autoscoperta, il suo posto e la
sua coordinazione attraverso l'illuminante esattezza di ogni parola e
dell'intera frase. Le più vaste verità metafisiche e le più sottili distinzioni
dell'esperienza psicologica sono raccolte all'interno del movimento ispirato e
rese immediatamente chiare per la mente che osserva e colmate di infinite
suggestioni per lo spirito che conosce. Esistono frasi particolari, singoli
distici, brevi passaggi che contengono in se stessi l'essenza di una vasta
filosofia e tuttavia ciascuno di essi viene pronunciato come un lato, un
aspetto, una parte dell'infinita autoconoscenza. Tutto è di una concisione
raccolta e ricca di idee e tuttavia perfettamente lucida e luminosa, tutto di
una infinita compiutezza. Un pensiero di questo genere non può seguire il
lento, prudente e prolisso sviluppo dell'intelligenza logica. Il brano, la
frase, il distico, il verso e persino il mezzo verso segue quello che procede
con un significato inespresso, un silenzio che echeggia tra loro, un pensiero
che viene trasmesso in una suggestione totale ed è implicito alla cadenza
stessa ma che la mente è lasciata libera di elaborare a proprio vantaggio, e
questi intervalli di silenzio significante sono ampi, la cadenza di questo
pensiero come i passi di un Titano che cammina tra rocce distanti su acque
infinite. Si trova una perfetta totalità, una estesa correlazione di parti tra
loro armoniche nella struttura di ogni Upanishad; ma il tutto è trattato al modo
di una mente che vede in uno sguardo messe di verità e si arresta per estrarre
solo la parola necessaria da un silenzio compiuto. Il ritmo ne verso o la
cadenza della prosa scolpiscono l'idea e l'espressione. Le forme metriche delle
Upanishad sono costituite da quattro semiversi ciascuno chiaramente definito,
versi che sono generalmente completi e dotati di senso, semiversi che
presentano due pensieri o parti distinte di un pensiero che sono unite o si
completano reciprocamente, e la cadenza sonora segue un principio
corrispondente, ciascun passo conciso e marcato della chiarezza del proprio
intervallo, colmo di ritmi echeggianti che permangono a lungo vibrare
nell'ascolto interiore; ciascun passo è come un'onda dell'infinito che porta in
se stessa interi la voce e il suono dell'oceano. E' un genere di poesia, parola
della visione, ritmo dello spirito, che non è più stato scritto, ne prima ne
dopo. Il linguaggio figurato delle Upanishad si è in larga parte sviluppato dal
genere di linguaggio figurato dei Veda e sebbene esso solitamente preferisca la
svelata chiarezza di una immagine direttamente illuminante, a volte esso usa
gli stessi simboli in un modo che è profondamente simile allo spirito e
all'aspetto meno tecnico del metodo di quel simbolismo più antico. E' in larga
misura questo elemento non più afferrabile dal nostro modo di pensiero che ha
sconcertato certi studiosi occidentali e li ha fatti affermare che queste
scritture sono una combinazione delle più alte speculazioni filosofiche con i
primi goffi balbettii della mente bambina dell'umanità. Le Upnaishad non
rappresentano uno scostamento rivoluzionario dalla mente vedica, dal suo
temperamento e dalle sue idee fondamentali, piuttosto una continuazione e uno
sviluppo e in una certa misura un ampliamento nel senso di una resa in aperta
espressione di tutto ciò che fu tenuto nascosto nel discorso simbolico dei Veda
come un mistero segreto. Esse iniziano a raccogliere il linguaggio figurato e i
simboli rituali dei Veda e dei Brahmana e a trasformarli in modo da esprimere
un senso interiore e mistico che serve come una sorta di punto di partenza
psichico per la propria filosofia, più evoluta e più puramente spirituale.
Esiste un grande numero di passaggi specialmente nelle Upanishad in prosa che
sono interamente di questo genere ed azione, in un modo recondito, oscuro e
persino incomprensibile per il pensiero moderno, con il senso psichico di idee
allora comuni nella mente religiosa vedica, la distinzione tra i tre generi di
Veda, i tre mondi e altri soggetti simili; ma, conducendo come fanno nel
pensiero delle Upanishad a più profonde verità spirituali , questi brani non
possono essere scartati come infantili aberrazioni dell'intelligenza privi di
senso e di ogni rintracciabile rapporto con il più alto pensiero nel quale essi
culminano. Al contrario troviamo che essi possiedono un significato
sufficientemente profondo quando riusciamo a penetrare il loro significato
simbolico. Questo significato si mostra in una ascesa psicofisica a una
conoscenza psicospirituale per la quale noi useremmo oggi termini più
intellettuali, meno concreti e immaginativi, ma che è ancora valida per coloro
che praticano lo yoga e riscoprono i segreti del nostro essere psicofisico e
psicospirituale. Passaggi tipici di questo genere di espressione peculiare di
verità psichice sono la spiegazione di Ajatashatru del sonno e dei sogni o i
brani della Prashna Upanishad sul principio vitale e le sue azioni, o ancora
quelli in cui l'idea vedica della lotta tra dèi e demoni è ripresa e guadagna
il suo significato spirituale e le divinità vediche, più chiaramente che nel
Rig o nel Sama Veda, sono caratterizzate e invocate per la loro funzione
interiore e per il loro potere spirituale.
Le Upanishad abbondano
di passaggi che sono ad un tempo poesia e filosofia spirituale, di chiarezza e
bellezza assolute, ma nessuna traduzione priva delle suggestioni e dei solenni
e sottili e luminosi echi di senso delle parole e dei ritmi originali, può dare
alcuna idea del loro potere e della loro perfezione. In altri le più sottili
verità psicologiche e filosofiche sono espresse in modo completamente
sufficiente senza mancare di una perfetta bellezza nell'espressione poetica e
sempre in modo tale da vivere nella mente e nell'anima e non essere
semplicemente offerte alla comprensione intelligente. C'è in alcune delle
Upanishad in prosa un altro elemento di vivido racconto e tradizione che ci
restituisce, sebbene solo in brevi fugaci, il quadro di quella animazione e di
quel movimento di ricerca spirituale e di passione verso la più alta conoscenza
che hanno reso possibili le Upanishad. Le scene del mondo antico rivivono
davanti a noi in alcune pagine, i saggi che siedono nei boschi pronti ad
ammaestrare chi si presenta, prìncipi e dotti Bramini e grandi proprietari
terrieri alla ricerca della conoscenza, il figlio del re nel suo carro e il
figlio illegittimo della serva, ricercando ogni uomo che avrebbe potuto portare
in se stesso l'idea della luce e la parola della rivelazione, le tipiche figure
simboliche e personalità, Janaka e la sottile mente di Ajatashatru, Raikwa del
carro, Yoinavalka soldato della verità, calmo ed ironico, che prende con
entrambe le mani senza alcun attaccamento i beni del mondo e le ricchezze
spirituali e lascia alla fine tutti i suoi averi per peregrinare come un asceta
senza casa, Krishna figlio di Devaki che udì una sola parola del Rishi Gora e
conobbe immediatamente l'Eterno, gli Ashram, le corti di re che furono anche
ricercatori e conoscitori spirituali, le grandi assemblee sacrificali dove i
saggi si incontravano e confrontavano la loro conoscenza. Così noi vediamo come
nacque l'anima dell'India e come scorse questo grande canto delle origini nel
quale essa si levò in volo dalla terra verso i supremi cieli dello spirito. I
Veda e le Upanishad non sono solo la bastevole sorgente della filosofia e della
religione indiana, ma di tutta l'arte e la letteratura indiana. Fu l'anima, il
temperamento, lo spirito ideale in essi formato ed espresso che costruì in
seguito le grandi filosofie, edificò la struttura del Dharma, testimoniò la sua
eroica gioventù nel Mahabharata e nel Ramayana, si intellettualizzò
infaticabilmente nell'epoca classica della sua maturità, produsse così tante
intuizioni originali nella scienza, creò un così ricco fervore di esperienze
estetiche, vitali e sensibili, rinnovò la sua essenza spirituale e psichica nei
Tantra e nei Purana, si gettò nella magnificenza e nella bellezza delle linee e
del colore, scolpì e fuse il suo pensiero e la sua visione nelle pietre e nel
bronzo, si riversò in nuovi canali di autoespressione nei linguaggi successivi
e ora dopo una lunga eclissi riemerge sempre identico nella diversità e pronto
per nuova vita e nuova creazione.
La fissata concezione
fondamentale del Vedanta è che là esiste in qualche luogo - e non potremmo non
trovarla - accessibile all'esperienza o all'autorivelazione anche se negata
alla ricerca puramente intellettuale, una verità sola onnicomprensiva e
universale nella luce della quale l'intera esistenza si trova rivelata e chiarita
nella sua natura e nel suo fine. Questa esistenza universale, con tutta la
moltitudine della sua realtà e la diversità delle sue forze, è una in sostanza
ed origine; ed esiste una quantità non conosciuta, X o Brahman, alla quale essa
può venire ridotta, perché da lui è originata e in lui e attraverso di lui
persiste. Questa quantità non conosciuta è chiamata Brahman. Ma intanto i
veggenti dell'antica India avevano completato, nei loro esperimenti e sforzi di
disciplina spirituale e di conquista del corpo, una scoperta che nella sua
importanza per il futuro della conoscenza umana oscura le intuizioni di Newton
e Galileo; persino la scoperta del metodo induttivo e sperimentale nella
Scienza non è risultato così fondamentale; perché essi penetrarono sino ai suoi
processi ultimi il metodo dello yoga e attraverso il metodo dello yoga si
elevarono al culmine di una triplice realizzazione. Essi compresero dapprima
come una realtà l'esistenza, aldisotto del flusso e della molteplicità delle
cose, di quella suprema Unità e immutabile Stabilità che era stata sino ad
allora ipotizzata solo come una teoria necessaria, una inevitabile
generalizzazione. Giunsero a comprendere che Quello è la sola realtà e tutti i
fenomeni non sono che le sue apparenze e le sue sembianze, che Quello è il vero
Sé di tutte le cose e i fenomeni non sono che le sue vesti e i suoi ornamenti.
Essi impararono che Quello è assoluto e trascendente, perciò eterno,
immutabile, indiminuibile e indivisibile. E guardando allo sviluppo passato del
pensiero, compresero che questa era anche la meta alla quale li avrebbe
condotti il puro ragionamento intellettuale. Poichè ciò che è nato nel tempo
deve nascere e morire; ma l'Unità e